In omaggio ai 150 anni dell'Unità d'Italia

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mercoledì 27 marzo 2013

Un esempio di politica aziendale che riesce a valorizzare le risorse più preziose

Segest Spa condividerà con dipendenti e collaboratori il 20% degli utili d’impresa

Serve una svolta. Nel difficile momento che sta affrontando il Paese, con aziende e cittadini che faticano ad arrivare a fine mese, Segest S.p.a. ha deciso di dare un segnale forte di fiducia, responsabilizzazione e partecipazione sia internamente, ai nostri dipendenti e collaboratori, sia verso l’esterno, a quel mondo delle PMI così consolidato e al tempo stesso traballante. A partire da quest’anno saremo infatti certamente i primi del nostro settore – e tra i primissimi in Italia – a condividere con il personale una quota pari al 20% dell’utile netto della società. Si tratta di un’iniziativa che riteniamo travalichi la semplice dinamica interna al mondo del lavoro e, in questo frangente storico, possa acquisire un importante significato politico e sociale.

Non siamo i primi a compiere questo passo, ma la differenza cruciale sta nel fatto che applicheremo questo principio di condivisione in una dimensione d’impresa e settore di attività del tutto innovativi: in quanto azienda di servizi che impiega una trentina di persone contiamo di costituire un simbolo e un esempio per una miriade di altre imprese, andando ben oltre l’applicazione (già rara) nella grande produzione industriale, come avviene alla Volkswagen, per intenderci.

Il fatto è che proprio per queste nostre caratteristiche siamo consapevoli di avere nel personale e nella metodologia di lavoro le nostre risorse principali. Segest è un’azienda che dà spazio ai giovani (l’età media è 33 anni, considerando anche me che alzo le statistiche), che crede nella formazione e offre ai neolaureati la possibilità di crescere insieme, che non ha bisogno di quote rosa perché ha già un 70% di donne al proprio interno e altrettante nel Comitato di Direzione. E queste persone, che si impegnano quotidianamente per mantenere l’azienda competitiva in un contesto così difficile, devono sapere che l’azienda è anche loro, che i loro sforzi rispecchiano un disegno comune, che remando insieme possiamo arrivare tutti in porto al sicuro, non soltanto chi sta al timone.

Il nostro è un percorso che viene da lontano. Abbiamo navigato controcorrente, investendo in formazione, tecnologia e risorse umane, fino a ottenere per primi nel nostro settore la certificazione in Qualità e Ambiente nel 2006 e, anche grazie a questi sforzi, siamo potuti crescere in maniera autonoma, sostenendoci con le nostre forze senza far ricorso al credito, creando un’azienda unica e sana, ininterrottamente in attivo dal 2004, in grado di attrarre cervelli dalle aree circostanti e di giocarsela alla pari con le multinazionali a partire da una realtà territoriale debole e decentrata come quella ferrarese.

Ma lavorare bene non basta e ogni giorno ognuno di noi è chiamato a uno sforzo maggiore, a reinventarsi e migliorarsi per farsi strada tra mille difficoltà. Il punto è che non è più il momento del piccolo cabotaggio, serve un balzo culturale, un’ardita impresa che imprima una svolta ai concetti stessi di lavoro e di governance. Pensiamo che la partecipazione agli utili di impresa da parte di tutti (e non è un caso che abbiamo deciso di includere nel progetto anche i collaboratori, simboli stessi del precariato) possa e debba essere un segnale forte in questa direzione, in grado di fornire la giusta motivazione al personale, ma non come si promette una carota all’asino, bensì come si condivide il raccolto in una comunità coesa, nella quale si sa che dal proprio sforzo individuale dipende il benessere collettivo. E soprattutto per aprire a un’idea di partecipazione in linea con quanto portiamo avanti da anni col nostro lavoro nel campo delle relazioni pubbliche, imperniato sul concetto di cittadino come stakeholder. E a ogni stakeholder, giustamente, spetta la propria quota, nel nostro caso letteralmente.

Una volta presa questa decisione abbiamo faticato non poco a trovare le modalità con cui attuarla, tra sistemi di ripartizione e normative bizantine (la burocrazia certo non ha aiutato). Saremmo dunque lieti di condividere la nostra esperienza con chi ritiene che la strada che stiamo tracciando possa essere interessante anche per altri. Noi pensiamo di sì. Male che vada, saremo gli unici e ne coglieremo da soli i frutti.

Fonte: http://www.segest.com/2013/03/25/il-nostro-piu-grande-patrimonio-sono-le-persone/ 

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