LE
COLLABORAZIONI PROFESSIONALI
SINTESI DELLE NOVITA'
La legge 92/2012 si
occupa anche dei liberi professionisti titolari di partita IVA, con
l’evidente finalità di contrastare prassi di abuso nel ricorso a
tale forma di collaborazione, la quale oggi troppo
spesso, in assenza della
configurazione del collaboratore come un vero professionista, viene
utilizzata – obbligando il collaboratore a “aprire la partita
Iva” – per sottrarsi alla disciplina del lavoro subordinato ma
anche, in qualche caso, per evitare l’applicazione della disciplina
del contratto a progetto introdotta dal decreto legislativo 276 del
2003.
Il meccanismo adottato è
ancora una volta quello di prevedere delle condizioni alle quali il
rapporto contrattuale, formalizzato come mera collaborazione
professionale, viene ricondotto per forza di legge nella fattispecie
del contratto di collaborazione a progetto, con applicazione della
relativa disciplina (artt. 61-69 D.Lgs. 276/2003 come modificati
dalla L. 92/2012: ciò che potrà far poi scattare, a sua volta, i
meccanismi sanzionatori di riconduzione della collaborazione a
progetto alla fattispecie del lavoro subordinato).
La stessa legge precisa
però che non possano essere considerati collaboratori coordinati e
continuativi i professionisti iscritti agli albi professionali quando
esercitano l’attività professionale loro propria (ad es.
l’attività di patrocinio legale per un avvocato o l’attività
giornalistica per un giornalista ecc.) e neppure quando l’attività
di lavoro autonomo sia connotata da competenze teoriche o
tecnico-pratiche di grado elevato e la persona abbia un reddito annuo
minimo pari a quello che determina l’obbligo di pagamento dei
contributi per gli artigiani e i commercianti.
SCHEDA DI
APPROFONDIMENTO
L’art. 69 bis del
D.Lgs. 276/2003, introdotto dalla L. 92/2012 (cfr. art. 1 commi 26 e
27 L. 92/2012), dispone che le prestazioni di lavoro rese da soggetti
titolari di partita IVA, al ricorrere di determinate condizioni, non
siano considerate collaborazioni professionali da lavoro autonomo, ma
collaborazioni coordinate continuative, con conseguente applicazione
di tutta la disciplina legale del lavoro a progetto, compreso il
prelievo contributivo e la disciplina sanzionatoria in caso di
contratto a progetto non conforme al modello legale.
Affinché si possa
presumere che si tratti di collaborazione coordinata e continuativa
anziché di lavoro autonomo libero professionale devono ricorrere
almeno due delle tre condizioni seguenti:
1) che la collaborazione
per uno stesso committente sia durata 8 mesi nell’arco di un anno
solare;
2) che oltre l’80% del
fatturato del collaboratore nell’arco di un anno solare derivi da
uno stesso committente (la legge precisa tuttavia che questa regola
vale anche se il corrispettivo è fatturato a più soggetti, purché
riconducibili al medesimo centro d’imputazione di interessi);
3) che il collaboratore
abbia la disponibilità di una postazione fissa presso il
committente.
Quando sussistono almeno
due di tali requisiti, dunque, il rapporto di collaborazione
professionale deve essere riqualificato come rapporto di
collaborazione a progetto e gli si applicherà la disciplina degli
artt. 61 e ss. del D.Lgs. 276/2003. Ciò significa che anche per quel
rapporto varrà l’obbligo di individuazione di uno specifico
progetto: ove il contratto comunque stipulato tra le parti non lo
preveda, e non ne individui il contenuto caratterizzante, il
collaboratore potrà a quel punto far valere
la sanzione di cui
all’art. 69 1° comma, e dunque l’accertamento in via presuntiva
della natura subordinata del rapporto di lavoro. Va da sé, peraltro,
che nel caso in cui il contratto di collaborazione professionale sia
stato sottoscritto per mascherare un normale rapporto di lavoro, il
collaboratore potrà anche far valere direttamente tale pretesa,
agendo per far accertare la natura subordinata del rapporto sulla
base di classici criteri e indici di accertamento della
subordinazione. La legge prevede peraltro che la presunzione che si
tratti di collaborazione coordinata e continuativa non operi in due
ipotesi:
a) quando la prestazione
di lavoro sia connotata da competenze teoriche di grado elevato
acquisite attraverso significativi percorsi formativi ovvero da
capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze
di esercizio concreto dell’attività e la persona sia titolare di
un reddito di lavoro autonomo parametrato al reddito minimo
imponibile per il versamento dei contributi degli artigiani e
commercianti (il riferimento normativo è all’art. 1, comma 3,
della L. 233/1990) che per il 2012 è pari ad € 14.930,00 annui
(cfr. circolare INPS n. 14 del 3.2.2012);
b) quando la prestazione
di lavoro sia svolta nell’esercizio di attività professionali per
le quali sia prevista l’iscrizione obbligatoria ad un ordine
professionale o ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi
professionali. Dovrà essere un decreto del Ministero del lavoro, da
emanarsi entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge e
sentite le parti sociali, a precisare quali sono le attività
professionali per le quali non opera la presunzione che si tratti di
collaborazione coordinata e continuativa anche se la persona ha
lavorato oltre 8 mesi per uno stesso committente dal quale ricava
oltre l’80% del proprio fatturato.
La nuova disciplina delle
collaborazioni professionali “convertite” in collaborazioni
coordinate e continuative con applicazione delle regole sui contratti
a progetto si applica per i rapporti di lavoro instaurati dopo
l’entrata in vigore della legge; per quelli in corso alla data del
18.7.2012 le nuove disposizioni si applicano a partire dal 18.7.2013,
cioè decorsi dodici mesi.
INDICAZIONI OPERATIVE
Come è noto, i liberi
professionisti titolari di partita IVA, che svolgono per il
committente una collaborazione professionale autonoma, sono esclusi
dal processo del lavoro, appannaggio esclusivo
dei lavoratori
subordinati e dei collaboratori coordinati e continuativi.
Grazie all’introduzione
della norma di cui all’art. 69 bis del D.Lgs. 276/2003, anche i
titolari di partita IVA potranno usufruire, al ricorrere di
determinate condizioni, delle tutele previste dalla legge per il
contratto a progetto e avere accesso al processo del lavoro. Finora i
vertenzieri sono stati chiamati a smascherare le “false”
consulenze attraverso un’istruttoria focalizzata soprattutto sulle
modalità di esecuzione del rapporto perché mirata all’introduzione
di un’azione giudiziaria di riconoscimento del lavoro subordinato.
D’ora in poi dovranno esaminare i contratti di consulenza non solo
al fine di verificare se ricorrono gli estremi per contestare la
subordinazione ma anche al fine di verificare se ricorrono almeno due
delle tre condizioni che fanno scattare la presunzione che si tratti
di collaborazione coordinata e continuativa. Riteniamo inoltre, come
si è detto, che nella stessa azione giudiziaria sia possibile
mettere in discussione la collaborazione libero professionale
prestata, allegando la presenza di due condizioni che fanno scattare
la presunzione di collaborazione coordinata e continuativa e
l’applicazione delle norme sul contratto a progetto e sostenendo
che il rapporto deve considerarsi di lavoro subordinato quale
sanzione per la mancanza di uno progetto specifico.
Fonte: Daniela Manassero