La legge 8 marzo 2000, n. 53,
intitolata "Disposizioni per il sostegno della maternità e della
paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento
dei tempi delle città", confluita successivamente nel D.lgs. 151/2001
(Testo unico sulla maternità e paternità), riconosce alle lavoratrici madri e
ai padri lavoratori, che svolgono l'importante ed impegnativo compito di
genitori, non soltanto permessi, congedi (retribuiti e non) e indennità di
varia natura, ma anche la possibilità (attraverso accordi siglati con le
organizzazioni sindacali) di concordare con il datore di lavoro particolari
forme di flessibilità degli orari (ad esempio, orario flessibile in entrata e
in uscita, su turni, orari concentrati) oppure particolari forme di
organizzazione del lavoro, quali telelavoro o lavoro a domicilio, al fine di
far conciliare da un lato l'interesse aziendale consistente nella prestazione
lavorativa e dall'altro quello del dipendente relativo alla gestione della
propria vita familiare.
La riorganizzazione aziendale
dell'orario di lavoro per concretizzare questa conciliazione di interessi ha
dei costi, più o meno consistenti, soprattutto per le piccole realtà
produttive. L'articolo 9 della legge 53/2000 prevede che vengano concessi contributi
alle aziende per coprire in tutto o in parte gli oneri sostenuti dal datore di
lavoro. Questi contributi vengono finanziati con un apposito Fondo delle
politiche della famiglia.
La legge 18 giugno 2009, n. 69, ha
riscritto l'art. 9 della legge n. 53/2000, con l'obiettivo di rilanciare questo
strumento di sostegno alla maternità e paternità e promuovere progetti
sperimentali che attuino, con maggiore efficacia ed effettivamente, misure
dirette a sostenere i soggetti con responsabilità genitoriali o familiari.
Innanzitutto è stata ampliata la rosa dei soggetti beneficiari. Sono ricompresi
così non solo le aziende, le aziende sanitarie locali e le aziende ospedaliere
ma anche i datori di lavoro privati iscritti in pubblici registri, i titolari
di impresa, i lavoratori autonomi o liberi professionisti per esigenze legate
alla maternità o alla presenza di figli minori ovvero disabili, non più solo
per finanziare la loro sostituzione totale dall'attività con altri soggetti
autonomi in possesso dei necessari requisiti professionali, ma anche per
avvalersi della loro collaborazione parziale. Collaborazione che può essere
attivata anche con un eventuale soggetto dipendente.
Per fruire dell'incentivo, prima
era necessario stipulare un accordo collettivo con le parti sociali che
prevedesse un progetto per l'attuazione di azioni positive, ora è sufficiente,
almeno nelle imprese di minori dimensioni, un accordo individuale tra
lavoratrice/lavoratore e datore di lavoro. Questo elemento di rilevante novità
è stato suggerito dal Piano di Azione 2020 realizzato congiuntamente dal
Ministero del Lavoro e dal Ministero delle pari opportunità (http://www.pariopportunita.gov.it/index.php/archivio-focus/1783-intesa-conciliazione-dei-tempi-di-vita-e-di-lavoro).
Un esempio di accordo applicabile
in realtà produttive oltre i 15 dipendenti è quello Gromart, azienda leader
nella produzione di gelato di alta qualità (http://www.italialavoro.it/wps/wcm/connect/09415d004e842b4aba86bf4a8032a81f/Contratto+Integrativo+GROM++31.07.12-1.pdf?MOD=AJPERES).
On line è anche
il portale http://www.italialavoro.it/wps/portal/lafemme
Il
sito nasce all’interno del progetto LaFemMe e mette a disposizione delle
aziende, delle parti sociali e dei consulenti una serie di servizi e input
operativi – oltre che informazioni mirate - per avviare misure di flessibilità
oraria e organizzativa, iniziative di welfare aziendale e territoriale,
percorsi di gestione e accompagnamento della maternità e attività di
sensibilizzazione e comunicazione in materia di conciliazione.